Gli impatti sull’ambiente

L’elevata produzione ed utilizzo della plastica non consente alle modalità di riciclo di stare al passo. Colpa anche del disinteresse dei cittadini, milioni di plastiche oggi sono disperse nell’ambiente, provocando danni allo stesso e alla salute delle popolazioni. Tuttavia, negli ultimi anni diverse sono state le campagne promozionali contro l’abbandono di tale rifiuto, al fine di sensibilizzare la cittadinanza: virale è infatti diventata la notizia della famosa “isola di plastica”, situata in corrispondenza del vortice oceanico subtropicale del Pacifico del Nord, in una regione dove le correnti superficiali formate dai venti creano una zona di convergenza dove si accumulano detriti naturali e di origine umana che possono rimanere intrappolati nel vortice  per vari anni.

Le stime compiute fino ad ora parlano di un quantitativo di plastica all’anno che finisce in mare pari a 13-15 milioni di tonnellate. In termini di peso, equivale a buttare in mare circa un milione di tir all’anno.

Fin dalle prime notizie sulla presenza di plastica negli oceani, l’attenzione mondiale si è concentrata su questo problema ed il numero di pubblicazioni scientifiche ha visto una crescita esponenziale. Vaste aree di accumulazione sono state scoperte in tutte le principali rotte oceaniche ed ogni parte degli oceani esaminata finora ha rivelato la presenza di rifiuti marini, compresi i mari polari, e i sedimenti di acque profonde. La plastica è ora così abbondante che è stata proposta come un nuovo indicatore stratigrafico Anthropocene.

Purtroppo, anche il nostro Mar Mediterraneo non è esente dalla presenza di plastica. I risultati dello studio “The Mediterranean Plastic Soup: synthetic polymers in Mediterranean surface waters” confermano la pervasività dell’inquinamento plastico nelle acque del Mediterraneo e, confermando le previsioni dei modelli, forniscono ulteriori prove del fatto che in questo bacino le abbondanze di microplastiche sono tra le più alte al mondo, a causa anche dell’intenso traffico di navigazione che avviene in questo bacino.

Inoltre, uno studio dell’ente australiano di ricerca Csiro ed Imperial College di Londra sull’impatto dell’inquinamento del mare sulla fauna, evidenzia che se nel 1960 la plastica era presente nello stomaco del 5% degli uccelli marini, nel 2010 la percentuale è salita all’80% ed entro il 2050 circa il 95% di tutti gli uccelli marini ne saranno composti, e che molte delle tossine e delle sostanze chimiche contenute nella plastica sono assorbite nel tessuto dei pesci, che a loro volta finiscono sulle nostre tavole.

Si tratta di inquinamento che non colpisce solo i bacini marittimi, ma anche l’acqua che scorre nelle tubazioni e che ingeriamo quotidianamente, con dimensioni di particelle che arrivano fino a 2,5 micron (2500 volte più grandi di un nanometro) che penetrano direttamente nelle cellule e tessuti del corpo umano. Come dimostra lo studio globale condotto da Orb Media (organizzazione no-profit specializzata in giornalismo d’inchiesta) l’83% dei campioni di “acqua potabile” risulta contaminato da plastica. Secondo l’analisi, il tasso di contaminazione più elevato si registra negli Stati Uniti, con il 94% di fibre di plastica trovate in acqua di rubinetto campionata in siti come il Congresso, la sede dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e la Trump Tower a New York. Seguono poi Libano e India.
Quanto all’Europa, nazioni tra cui il Regno Unito, la Germania e la Francia hanno avuto il tasso di contaminazione più basso, ma comunque attestabile al 72%. E per ogni 500 ml, una bottiglietta da mezzo litro, mettiamo in corpo mediamente 1,9 fibre di plastica, mentre negli USA sono 4,8.


Fonte Analisi Orb Media

Tuttavia la presenza di plastica non ha impatto soltanto nei mari, ma anche ad esempio nella produzione di cibo: ad esempio, uno studio tedesco ha registrato alte percentuali di fibre e frammenti di plastica in tutte le 24 marche di birra testate, nonché nel miele, nello zucchero e nell’acqua imbottigliata. Un’altra forte fonte di inquinamento si ritrova negli indumenti sintetici, i cui lavaggi emettono fino a 70.000 fibre di plastica a lavaggio.

Gli studi effettuati fino ad ora dipingono una situazione inaccettabile e destinata a peggiorare di anno in anno, in mancanza di serie politiche volte a limitare l’uso di questo materiale. Si auspica, infatti, che i prodotti in plastica, dalla loro progettazione al riciclo finale, escano il prima possibile dalla logica dell’usa e getta per divenire un materiale sempre più riciclabile.